La Corte di Cassazione, Sezione lavoro, con sentenza del 6 novembre 2014, n. 23669, ha precisato che: “il nuovo art. 18 ha tenuto distinta… dal fatto materiale la sua qualificazione come giusta causa o giustificato motivo, sicché occorre operare una distinzione tra l’esistenza del fatto materiale e la sua qualificazione”.
Invero, l’art. 18, L. 20 maggio 1970, n. 300, così come riformato dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. Legge “Fornero”), prevede la distinzione della verifica sulla effettiva insussistenza del fatto materiale dalla relativa qualificazione come giusta causa o giustificato motivo.
Invero, l’art. 18, L. 20 maggio 1970, n. 300, così come riformato dalla Legge 28 giugno 2012, n. 92 (c.d. Legge “Fornero”), prevede la distinzione della verifica sulla effettiva insussistenza del fatto materiale dalla relativa qualificazione come giusta causa o giustificato motivo.
In questa prospettiva, la possibilità di reintegrare il lavoratore sarebbe ammessa solo in caso di conferma sulla insussistenza materiale del fatto disciplinare posto alla base del recesso datoriale, con la conseguenza che esulerebbe dalla fattispecie ogni valutazione concernente il profilo della proporzionalità della sanzione rispetto alla gravità del comportamento addebitato.
Tale orientamento sembrerebbe essere stato fatto proprio anche dal Decreto attuativo del c.d. Jobs Act che, in caso di licenziamenti disciplinari, limiterebbe le ipotesi di reintegrazione ai casi di “insussistenza materiale del fatto contestato”.