Le Sezioni Unite della Suprema Corte, con la sentenza n. 5072 del 15 marzo 2016, sono intervenute in materia di abuso dei contratti a termine nel pubblico impiego.

Con due separati ricorsi, è stato adito il Tribunale di Genova per richiedere: i) l’accertamento dell’illegittimità del termine apposto ai contratti di lavoro intercorsi con un’azienda ospedaliera; ii) il riconoscimento della sussistenza di un rapporto di lavoro, oltre che la condanna al conseguente risarcimento.

La questione controversa coinvolge i “limiti” in tema di applicabilità al pubblico impiego della normativa legale sul lavoro a tempo determinato con riferimento a quanto disposto dall’ultimo comma dell’art. 97, Cost., che “prescrive agli impieghi nelle pubbliche amministrazioni si accede mediante concorso…”.

Orbene, le Sezioni Unite hanno ribadito che, nel pubblico impiego, un rapporto di lavoro a tempo determinato “in violazione di legge” non è suscettibile di “conversione” in un rapporto a tempo indeterminato, stante il divieto posto dall’art. 36, comma 5, Decreto Legislativo del 30 marzo 2001, n. 165, e hanno altresì chiarito che, in caso di violazione di norme poste a tutela dei diritti del lavoratore, è in ogni caso preclusa la conversione del rapporto come “sanzione” dell’illegittima apposizione del termine, sussistendo invero solamente il diritto al risarcimento dei danni subiti.

Le Sezioni Unite hanno inoltre specificato che sia la Corte Costituzionale sia la Corte di Giustizia consentono “di ritenere verificata la compatibilità costituzionale…del regime differenziato del contratto a termine nel pubblico impiego, connotato dalla previsione del pubblico concorso…”.

Pertanto, ove il termine apposto al contratto di lavoro risulti illegittimo per abusiva reiterazione dei contratti, l’unico danno configurabile in capo al dipendente pubblico non sarà un danno “da mancata conversione del rapporto e… perdita del posto di lavoro…” ma al più da perdita di “chance da occupazione migliore”, qualora la Pubblica Amministrazione avesse operato legittimamente emanando, ad esempio, un bando di concorso che il lavoratore avrebbe potuto vincere partecipandovi.

E’ proprio per tale ordine di ragioni che le Sezioni Unite ritengono incongruo il richiamo alla disciplina del licenziamento illegittimo, in quanto, per il dipendente pubblico, non sussiste la perdita del posto di lavoro potendosi invero prendere a riferimento quanto previsto dall’art. 32, comma 5, L. n. 183/2010, in tema di risarcimento del danno in caso d’illegittima apposizione del termine.

Il principio di diritto espresso dalle Sezioni Unite sancisce allora che, nel regime del lavoro pubblico contrattualizzato, “in caso di abuso del ricorso al contratto di lavoro a tempo determinato da parte di una pubblica amministrazione il dipendente, che abbia subito la illegittima precarizzazione del rapporto di impiego, ha diritto, fermo restando il divieto di trasformazione del contratto di lavoro da tempo determinato a tempo indeterminato posto dall’art. 36, comma 5, d.lgs. 30 marzo 2001 n. 165, al risarcimento del danno previsto dalla medesima disposizione, con esonero dall’onere probatorio, nella misura e nei limiti di cui all’art. 32, comma 5, legge 4 novembre 2010, n. 183, e quindi nella misura pari ad un’indennità onnicomprensiva tra un minimo di 2,5 ed un massimo di 12 mensilità dell’ultima retribuzione globale di fatto, avuto riguardo ai criteri indicati nell’art. 8 legge 15 luglio 1966, n. 604”.