A seguito dell’entrata in vigore della cd. “Riforma Fornero” (Legge n. 92 del 2012), è stato introdotto un nuovo “rito” applicabile ai giudizi relativi alla valutazione sulla legittimità dei licenziamenti intimati ai lavoratori subordinati destinatari della “tutela reale” sancita dall’art. 18 della Legge n. 300 del 1970.

La parte che vuole agire in giudizio al fine di accertare l’illegittimità del licenziamento deve attivare un procedimento caratterizzato, tra l’altro, dall’elemento della celerità e destinato a concludersi con una decisione (rectius: ordinanza) di accoglimento o di rigetto della domanda.

Vi è poi un’eventuale seconda fase di opposizione del giudizio avente ad oggetto l’impugnativa dell’ordinanza e disciplinata dai principi preclusivi dell’art. 414 c.p.c.

Su questo apparente distinguo di natura processuale è di recente intervenuta una pronuncia della Suprema Corte (Cass. Civ., 17 febbraio 2015, n. 3136), volta a chiarire la natura della seconda fase del giudizio.

In particolare, i Giudici di Piazza Cavour hanno affermato che la fase dell’opposizione non costituisce un differente grado rispetto alla fase che ha preceduto l’ordinanza e che, pertanto, non sussiste alcun vizio della sentenza nel caso in cui il giudice persona fisica di essa sia il medesimo della fase ordinaria, visto che “essa non è, in altre parole, revisio prioris instantiae ma solo una prosecuzione del giudizio di primo grado in forma ordinaria e non più urgente”.

E’ stato quindi ritenuto che il medesimo giudice della fase “sommaria” possa (ri)conoscere della controversia anche nella successiva fase lato sensu impugnatoria.