Con la sentenza del 22 marzo 2016, n. 5574, la Corte di Cassazione ha affermato la legittimità del licenziamento per giusta causa, qualora il lavoratore abbia usufruito dei permessi richiesti per l’assistenza a familiari disabili, previsti dalla Legge del 5 febbraio 1990, n. 104, per motivi che esulino dall’assistenza stessa.

Nel caso di specie, il lavoratore era stato visto recarsi presso l’abitazione del parente assistito soltanto per “complessive quattro ore e tredici minuti, pari al 17,5% del tempo totale concesso”, così il datore di lavoro, aveva provveduto ad intimargli un licenziamento disciplinare per giusta causa, stante l’illegittima condotta di abuso dei permessi ex L. n. 104/92.

Anche la Corte d’Appello aveva ritenuto proporzionata la sanzione irrogata, stante l’evidente intenzionalità della condotta, indicativa di un sostanziale e reiterato disinteresse del lavoratore alle esigenze aziendali, dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto, ma anche in ragione del fatto che la sussistenza di un marginale assolvimento dell’obbligo assistenziale fosse ugualmente idoneo ad integrare una condotta lesiva del rapporto fiduciario.

Orbene, i giudici della Suprema Corte hanno altresì specificato che “l’utilizzazione dei permessi ai sensi della legge n. 104 del 1992 per scopi estranei a quelli presentati dal lavoratore costituisce comportamento oggettivamente grave, tale da determinare, nel datore di lavoro, la perdita di fiducia nei successivi adempimenti e idoneo a giustificare il recesso per giusta causa”.

Pertanto, ed in sintesi, con la sentenza in esame la Cassazione ha chiarito come un utilizzo distorto dei permessi per l’assistenza a familiari disabili possa essere considerato un comportamento di “sostanziale disinteresse per esigenze aziendali” e come tale “una violazione dei principi di buona fede e correttezza nell’esecuzione del contratto di lavoro”.