Con la sentenza del 13 ottobre 2015, n. 20540, la Corte di Cassazione ha fornito un’interpretazione volta a chiarire quali siano i requisiti sulla “insussistenza” del fatto contestato per potere trovare applicazione la tutela reintegratoria ex art. 18, comma 4, Legge n. 300 del 1970.

La Corte di Cassazione precisa, invero, che: “Quanto alla tutela reintegratoria, non è plausibile che il Legislatore, parlando di “insussistenza del fatto contestato”, abbia voluto negarla nel caso di fatto sussistente ma privo del carattere di illiceità, ossia non suscettibile di alcuna sanzione, restando estranea al caso presente la diversa questione della proporzione tra fatto sussistente e di illiceità modesta, rispetto alla sanzione espulsiva […]. In altre parole la completa irrilevanza giuridica del fatto equivale alla sua insussistenza materiale e da perciò luogo alla reintegrazione ai sensi dell’art. 18 quarto comma, cit.”.

Nello specifico la Suprema Corte, ritenendo che il licenziamento si fondava su fatti quali, ad esempio, la mancanza di “buona educazione” del lavoratore (essendosi quest’ultimo rifiutato di procedere alla discussione della propria posizione personale con l’amministratore delegato della società), e ritenendo che gli addebiti fossero “espressivi di atteggiamenti semmai contrati alle regole della compostezza e degli usi mondani”, ha chiarito che è fondata la richiesta di reintegrazione del dipendente qualora vi sia la completa irrilevanza giuridica dei detti fatti che si traduce in una sostanziale insussistenza materiale.