Come noto, l’obbligo di sicurezza posto a carico del datore di lavoro in favore del lavoratore è previsto dall’art. 2087 c.c. – con riferimento alle “misure che, secondo la particolarità del lavoro, l’esperienza e la tecnica, sono necessarie a tutelare l’integrità fisica e la personalità morale dei prestatori di lavoro” – e, tra l’altro, dalle discipline sulle misure prevenzionistiche per gli infortuni sul lavoro e le malattie professionali.

Con la recente sentenza del 27 febbraio 2017, n. 4970, la Suprema Corte, intervenendo sul tema, ha chiarito che: “così come non può accollarsi al datore di lavoro l’onere di garantire un ambiente di lavoro a rischio zero quando di per sé il rischio di una lavorazione o di un’attrezzatura non sia eliminabile, egualmente non può pretendersi l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili. Diversamente vi sarebbe una responsabilità oggettiva in quanto attribuita quando la diligenza richiesta sia stata già soddisfatta (al pari del caso in cui una prestazione sia ineseguibile o la diligenza richiesta non sia più esigibile)”.

Difatti, come ribadito nella citata sentenza, lo stesso art. 2087 c.c. non configura un’ipotesi di responsabilità oggettiva, in quanto la responsabilità del datore di lavoro va collegata alla violazione degli obblighi di comportamento imposti da norme di legge o suggeriti dalle conoscenze sperimentali o tecniche del momento.

Nella sicurezza sul lavoro, quindi, la diligenza richiesta è esclusivamente quella esigibile per essere l’infortunio ricollegabile: i) a un comportamento colpevole del datore di lavoro; ii) alla violazione di un obbligo di sicurezza; iii) alla mancata predisposizione di misure idonee a prevenire ragioni di danno per i propri dipendenti. Risultano, al contrario, inesigibili “misure e cautele diverse da quelle prescritte… quando di per sé il rischio di una particolare operazione non sia eliminabile e non sia possibile l’adozione di accorgimenti per fronteggiare evenienze infortunistiche ragionevolmente impensabili”.