Con sentenza del 4 luglio 2017, n. 16388, la Sezione lavoro della Corte di Cassazione ha stabilito che a fronte di un’impossibilità sopravvenuta di prosecuzione della prestazione, la quale comporti la sospensione del rapporto di lavoro di circa un anno, deve ritenersi legittimo il recesso intimato da parte del datore di lavoro.

La pronuncia in questione trae origine dall’impugnazione di un licenziamento per giustificato motivo oggettivo per asserita illegittimità dello stesso.

La Cassazione ha respinto il ricorso statuendo la piena legittimità del recesso datoriale in quanto non si tratta di un licenziamento disciplinare, bensì di un recesso causato da una sopravvenuta impossibilità allo svolgimento della prestazione convenuta contrattualmente, e non in virtù di un provvedimento adottato direttamente dal datore di lavoro ma da un soggetto diverso (nel caso in specie la polizia giudiziaria) estraneo alla sfera di influenza del titolare.

Nel caso di specie, si è trattata del “ritiro della tessera di accesso all’area aeroportuale in possesso del lavoratore” che, i Giudici di legittimità hanno ritenuto essere un “documento essenziale per lo svolgimento” della prestazione lavorativa.

La Corte approfondisce la questione asserendo altresì che a fronte di un inadempimento della prestazione lavorativa il datore di lavoro non è tenuto al pagamento delle retribuzioni ove ricorrano le condizioni dell’art. 1460 c.c., nello specifico la Suprema Corte ha ritenuto che “la Corte di Appello ha” correttamente “escluso la natura disciplinare della sospensione con la conseguente inapplicabilità della relativa disciplina legale e convenzionale, e ha fatto applicazione dell’art. 1460 c.c. e della L. n. 604 del 1966, art. 3 ritenendo non dovuta la retribuzione durante il periodo di sospensione del rapporto, escludendo che si vertesse in ipotesi in cui la sospensione è tutelata dalla legge, quale la malattia, e ritenendo legittimo il recesso”.